Ci sono alcune storie che, man mano che riemergono e ci si riflette dopo la lettura, sembrano diventare incredibilmente più profonde, lasciando quesiti irrisolti. Bartleby lo scrivano di Herman Melville è una di queste.
Tanto la trama appare facilmente comprensibile e lineare, quanto i significati profondi si aggrovigliano e appaiono addirittura sfuggenti.
Il narratore è un avvocato di New York, senza nome, a cui gli affari vanno particolarmente bene. Nel suo studio lavorano già due impiegati e un ragazzo tuttofare, ma decide di mettere un annuncio per assumere un nuovo copista.
Ecco allora che arriva Bartleby, dalla “figura: pallidamente linda, penosamente decorosa, irrimediabilmente squallida”.
Assegnato al nuovo arrivato un angolino non troppo illuminato, con una finestra che “non si affacciava più su nulla”, in un primo momento lo scrivano, “così singolarmente mite”, sorprende positivamente l’avvocato per la straordinaria mole di lavoro che l’uomo, in assoluto e ritirato silenzio, porta a termine.
Tuttavia, il terzo giorno di lavoro gli viene chiesto di esaminare un documento e Bartleby risponde – ed è quasi l’unica frase che ripete nell’intera storia: “Preferirei di no“.
Da qui la totale costernazione dell’avvocato, ma anche dei colleghi che pure lo minacciano, alla reiterata medesima risposta.
Non è mai un “no”, un netto rifiuto. Non è mai detto in modo aggressivo o impertinente. Bartleby è sempre presente durante l’orario lavorativo, anzi si ferma anche oltre, tanto che il narratore arriva a chiedersi se Bartleby non stia effettivamente vivendo negli uffici stessi. Continua a leggere