Hanna Bervoets, “Questo post è stato rimosso”

978880475122hig-312x480-1Il romanzo di Hanna Bervoets, Questo post è stato rimosso, è breve, la trama può lasciare una certa sensazione di insipidità, ma di sicuro non sono pochi gli spunti di riflessione che suggerisce.

La storia intreccia la vita lavorativa e personale di Kayleigh, che lavora presso la società di social media Hexa. Il suo lavoro consiste nel passare per ore e ore al setaccio e revisionare i post che violano la policy aziendale sulla pubblicazione di contenuti, ovvero, ad esempio, violenza, automutilazione, crudeltà verso gli animali.
Dopo un periodo di training iniziale, il lavoro procede a ritmo serrato, spietato, e davanti agli occhi dei dipendenti si susseguono senza sosta post di fronte ai quali la domanda è sempre la stessa, “Va bene lasciare questo sulla piattaforma? E se no, perché no?“, non senza perplessità e angoscia, in quanto il lavoro deve esser eseguito alla perfezione e il più velocemente possibile.

La storia è narrata sotto forma di confessione da parte di Kayleigh al signor Stitic, un avvocato che ora rappresenta i suoi ex colleghi in una causa contro Hexa, e non mancano dubbi ed enigmi che si infittiscono lungo la trama. Vengono sottolineate, in particolare, le ricadute psicologiche che la moderazione dei contenuti ha su tutti i dipendenti: il livello di dissociazione richiesto e provocato da tale lavoro diventa una modalità quotidiana, cambia le loro percezioni e convinzioni, il modo di interagire tra loro, con altre persone e soprattutto con ciò che li circonda e il modo di vedere la stessa realtà. Continua a leggere

J. Rodolfo Wilcock, “Lo stereoscopio dei solitari”

cover__id7175_w240_t1489073250Leggere Wilcock è scostare un velo che copre il mondo e accorgersi che l’ordine apparente delle vite e dei giorni è solo un incidente, un’eccezione, sempre in procinto di essere sconvolto, se non cancellato. Che è il caos che spinge dietro l’apparenza fallace del nostro controllo, che crea una seconda realtà, surreale, possibile o mancata, dietro l’ordinarietà delle nostre vite.

Lo stereoscopio dei solitari è una raccolta di brevissimi racconti, ma si può intendere anche, per citare l’autore, “un romanzo con settanta personaggi principali” che non si incontrano mai.

Ogni protagonista è racchiuso nella propria storia come in un bozzolo, caratterizzato da una situazione straniante, fantastica, strana o anche tragica, di cui veniamo a conoscenza solo attraverso un angusto scorcio, ma che nella sua brevità riesce comunque ad esplorare le logiche, le crudeltà e le necessità di una solitudine forzata o scelta.
Perfettamente calibrati e compiuti, i racconti nella nostra immaginazione si dilatano come un romanzo a sé.

Difficile riassumere in modo esaustivo la varietà di personaggi e situazioni che il lettore incontra – una Medusa vanitosa, un lupo mannaro che balla nel suo appartamento, valchirie annoiate, un centauro artista, …: uno dei piaceri del libro è proprio lasciarsi trasportare e conquistare da pagine ricche di tanta originalità e stravaganza, nelle quali si fondono l’eterodossia, la percezione del caos imminente, la crudeltà, l’umorismo acido, l’ironia tagliente, l’assurdità, la nota surreale. Continua a leggere

Friedrich Dürrenmatt, “Minotauro. Una ballata”

“Avvertì che non esistevano tanti minotauri, ma un minotauro solo, che esisteva un solo essere quale egli era, non un altro prima né un altro dopo di lui, che egli era l’unico, l’escluso e rinchiuso insieme, che il labirinto c’era per causa sua, e questo solo perché era stato messo al mondo, perché l’esistenza d’uno come lui non era consentita dal confine posto fra animale e uomo e fra uomo e dei, affinché il mondo conservi il suo ordine e non divenga labirinto per ricadere nel caos da cui era scaturito; e quando l’avvertì, come percezione senza comprensione, come un’illuminazione senza conoscenza, non come una nozione umana fatta di concetti ma come nozione di minotauro fatta d’immagini e di sensazioni, crollò a terra, e allorché giacque, raggomitolato com’era stato raggomitolato nel corpo di Pasifae, il minotauro sognò di essere un uomo. Sognò un linguaggio, sognò fratellanza, sognò amicizia, sognò sicurezza, sognò amore, vicinanza, calore, e contemporaneamente seppe, sognando, di essere un anormale cui non sarebbe mai stato concesso un linguaggio, mai fratellanza, mai amicizia, mai amore, mai vicinanza, mai calore, sognò come gli esseri umani sognano degli dèi, con tristezza d’uomo l’uomo, con tristezza d’animale il minotauro.”

cover_9788845983610__id10039_w1200_t1616418880Se già amavo Dürrenmatt, questo testo lo consacra ancor più tra i miei scrittori più amati, e per questo testo, che ho riletto per ben due volte consecutive, non vi sono parole sufficientemente dolorose o di elogio per descriverlo.

È un urlo nel buio, quel buio totale e disperato che solo i veri condannati a vivere nell’estrema solitudine di esseri anormali conoscono, quell’illusione di comunicabilità e fiducia che vengono puntualmente tranciate dalla più cruenta mannaia. Forse solo un pertugio rimane, alto, lontano, su un cielo perennemente plumbeo come quello di Basilea, irraggiungibile e che grava ancor più amaro sull’esistenza.

Il Minotauro, vero monstrum, prodigio e abominio, condannato solo per essere ciò che è all’eterno confino di un labirinto impossibile – labirinto fisico che diviene poi aggrovigliato intersecarsi dei meandri della mente, tra realtà, visioni, follia, ormai indistinguibili nell’imperituro tormento.
Quante sfumature e quante letture simboliche potrebbero essere date a questo testo!

Questo breve, densissimo libro, degno dell’epica più aulica, descrive con infinita cura lo sviluppo di una coscienza ibrida, in parte animale, una coscienza tormentata da sogni di desiderio, visioni che non potrà mai comprendere, ma verso le quali percepisce una tensione inconscia, verso le quali allunga gli arti bestiali ma non raggiungerà mai, non troverà mai appagamento. Continua a leggere

Masako Togawa, “Residenza per signore sole”

2971158In Residenza per signore sole, il primo romanzo dell’autrice poliziesca giapponese Masako Togawa (pubblicato nel 1962), la realtà è tutt’altro che semplice, è fatta di superfici scorrevoli, come le porte shoji nelle case giapponesi, che nascondono e rivelano a turno la vita che scorre dietro di loro. L’autrice infatti delizia i lettori con cambiamenti inaspettati nell’ambientazione, mentre la storia prosegue a piccoli passi come un preciso un meccanismo a orologeria verso un climax amaro e agghiacciante.

Il romanzo della Togawa, insomma, è davvero una chicca tra i classici gialli nipponici, sia per l’ambientazione non banale e suggestiva, che per il cast di personaggi unico e la struttura non convenzionale rispetto a tanta narrativa poliziesca del tempo. Non da ultimo, è anche un viaggio inquietante nell’oscurità della psiche umana, a rivelare il male che può nascondersi appena sotto la patina della società civile.

L’autrice ambienta la storia nella desolata Tokyo del 1958, una città ancora sconvolta dalle tragiche conseguenze della seconda guerra mondiale. In un breve e straziante prologo, cita una situazione e un crimine avvenuto sette anni prima, alludendo al fatto che il colpevole non sarà mai assicurato alla giustizia.

La storia non si basa su un solo personaggio centrale, bensì su un intero cast di personaggi abilmente dipinti: principalmente i vari abitanti della residenza per sole donne, un’istituzione pubblica a metà strada tra casa di riposo e casa popolare. Alcuni degli abitanti dell’edificio sono ritratti dalla Togawa in brevi capitoli finemente realizzati: donne sole, per lo più in pensione, con il loro elenco di debolezze, meschinità e rimpianti. Un’ex maestra che passa il tempo a scrivere a ciascuno dei suoi studenti, una lettera al giorno; un violinista, maestro di violino costretto al ritiro da una paralisi a un dito, che nasconde un vergognosamente il segreto; la vedova di uno scienziato che sta cercando disperatamente di far pubblicare il suo lavoro, anche se probabilmente è inutile; un insegnante d’arte in pensione che si rifiuta di interagire con chiunque altro e dorme in un guardaroba. Tutte le storie di queste donne sono abilmente interconnesse e convergono inevitabilmente verso l’apice drammatico, la scoperta del crimine descritto inizialmente. Continua a leggere

Rikki Ducornet, “Trafik”

trafik-cop-900x1221-1Si potrebbe definire Trafik una surreale, folle storia di viaggio on the road, anzi in the space. E non così tipica, dato che i protagonisti del romanzo di Rikki Ducornet, Fremito e Mic, sono rispettivamente un essere in parte umano in parte biotecnologia, e un robot, e insieme percorrono l’universo da un pianeta all’altro con un preciso intento commerciale.

Entrambi hanno le proprie peculiarità e carattere, ma anche aspetti in comune, come la nostalgia per un pianeta chiamato Terra, ormai scomparso, che conoscono solo attraverso video, canzoni e immagini che, nella maggior parte dei casi, non sanno interpretare fino in fondo.

Navigare nello spazio raccogliendo minerali rari può riservare momenti emozionanti, ma la maggior parte delle volte è piuttosto monotono: Fremito quindi trascorre il suo tempo libero all’interno della nave in una sorta di installazione di realtà virtuale, mentre Mic è inseparabile dal suo dispositivo traboccante di tutto l’intrattenimento audiovisivo creato dalla specie umana. Fremito, però, custodisce segretamente anche un tesoro, un vero oggetto proveniente dalla Terra: nientemeno che un libro, e un libro di Julio Cortázar, di cui ben poco capisce, ma si lascia affascinare dalle parole e dalle immagini che le pagine e le parole suscitano.

All’ennesimo fallimento di una missione, i due decidono di mettersi alla ricerca di un luogo ove mettere radici e la scelta cade sul pianeta chiamato Trafik, un paradiso favoloso per tutti i paria dell’universo – ma il viaggio non sarà semplice e li metterà alla prova., dovranno visitare innumerevoli luoghi pieni di magia, stranezze, ma anche pericoli. Continua a leggere

Federico Falco, “Le pianure”

surns62_federicofalco_lepianure_cover-409x637-1Con gli autori sudamericani ho sempre un rapporto ambivalente, alcuni riescono a catturarmi nelle loro inconfondibili pagine, con altri proprio mi blocco fin dall’inizio.
Avendo letto opinioni interessanti, ho dato una possibilità a Le Pianure di Federico Falco e mi sono trovata letteralmente incantata.

Lo spunto della trama viene dato dalla dolorosa rottura del rapporto tra il protagonista e il suo partner, situazione che lo spinge ad allontanarsi dal luogo in cui vivevano e a rifugiarsi in campagna, da solo. Quell’immensa estensione di terra che è Zapiola implica resistenza, fatica, perseveranza, ma permette un nuovo inizio o, almeno, la possibilità di un inizio.
Se dapprima infatti il protagonista si sente totalmente perso, sconvolto dal crollo di quello che pensava fosse il suo mondo stabile e duraturo, man mano si lascia vincere dalla vita in campagna, dove i ritmi sono ben scanditi, dal paesaggio e dalle persone che incontra, e ricostruisce i molteplici tasselli del puzzle della propria vita.

Così sembrerebbe un libro sullo scorrere del tempo e sulla pianura dove vive un uomo che coltiva un giardino e veglia, ricorda e scrive. Ma la profondità interiore che si insinua nella quotidianità, nei semplici gesti, lascia spazio a molto di più, a un caleidoscopio di emozioni e pensieri che le esigue pagine non racchiudono, ma suggeriscono soltanto. Continua a leggere

Nita Prose, “La cameriera”

prose_la-cameriera-fascettaIl debutto di Nita Prose, La Cameriera, è un delizioso cozy mystery che riesce a intrigare a tutti i livelli, dall’ambientazione, alla trama, alla protagonista.

In un lussuoso hotel di città, un ospite giace morto nella sua stanza e la principale sospettata è Molly Gray, un membro del personale delle pulizie la cui devozione al suo lavoro è pari solo dall’amore per la nonna da poco mancata.
Su queste premesse, domina indiscusso il personaggio della protagonista, Molly Grey appunto, neurodivergente e affetta da un disturbo dello spettro autistico, aspetto che non è chiaro subito, ma si evince dal modo in cui lei affronta il mondo, in particolare il lavoro che per la ragazza è un luogo sicuro, la sua zona di comfort, ove ha delle responsabilità e una routine stabile.

Essendo narrato in prima persona, i lettori riescono più facilmente ad addentrarsi nel mondo di Molly, entrando in contatto con la sua psiche e con le cose che la rendono certa e serena – come appunto l’ordine, la pulizia, la ripetizione di gesti abitudinari. Continua a leggere