Il romanzo di Hanna Bervoets, Questo post è stato rimosso, è breve, la trama può lasciare una certa sensazione di insipidità, ma di sicuro non sono pochi gli spunti di riflessione che suggerisce.
La storia intreccia la vita lavorativa e personale di Kayleigh, che lavora presso la società di social media Hexa. Il suo lavoro consiste nel passare per ore e ore al setaccio e revisionare i post che violano la policy aziendale sulla pubblicazione di contenuti, ovvero, ad esempio, violenza, automutilazione, crudeltà verso gli animali.
Dopo un periodo di training iniziale, il lavoro procede a ritmo serrato, spietato, e davanti agli occhi dei dipendenti si susseguono senza sosta post di fronte ai quali la domanda è sempre la stessa, “Va bene lasciare questo sulla piattaforma? E se no, perché no?“, non senza perplessità e angoscia, in quanto il lavoro deve esser eseguito alla perfezione e il più velocemente possibile.
La storia è narrata sotto forma di confessione da parte di Kayleigh al signor Stitic, un avvocato che ora rappresenta i suoi ex colleghi in una causa contro Hexa, e non mancano dubbi ed enigmi che si infittiscono lungo la trama. Vengono sottolineate, in particolare, le ricadute psicologiche che la moderazione dei contenuti ha su tutti i dipendenti: il livello di dissociazione richiesto e provocato da tale lavoro diventa una modalità quotidiana, cambia le loro percezioni e convinzioni, il modo di interagire tra loro, con altre persone e soprattutto con ciò che li circonda e il modo di vedere la stessa realtà.
Ammetto di non aver apprezzato granché il tutto a livello complessivo di romanzo, troppo sbrigativo, tanti spunti mal organizzati e poco sviluppati, quesiti lasciati irrisolti.
Tuttavia, i ragionamenti che ne scaturiscono sono innumerevoli, attuali e importanti.
Si potrebbe parlare delle condizioni lavorative di chi si occupa di tale attività e delle ricadute nella vita personale, elemento principale del libro e di cui l’autrice dà un elenco di articoli e saggi in merito alla fine, ma la prima domanda che mi sono posta è quanto il web e i social media in particolare abbiano cambiato il nostro rapporto con la realtà.
Benché la risposta possa avere sfumature diverse per ciascuno, credo che tutti possano confermare con un “molto”.
Come sempre, non può sussistere una etichetta generale di buono o cattivo da rifilare agli strumenti che quotidianamente e costantemente abbiamo a disposizione, perché, sempre, è l’individuo che fa la differenza e li rende tali.
Però, la percezione generalizzata è che questa sorta di dissociazione virtuale e reale sia dilagata ampiamente tra i fruitori del web e soprattutto dei social.
L’impressione è che tante persone non abbiano filtri opportuni quando utilizzano tali strumenti: non ricordano che se dialogano con qualcuno dall’altra parte c’è una persona, non un’immagine, non leggono in modo critico notizie e informazioni, ritengano ciò che appare sui social una verità felice e patinata a cui aspirare e da invidiare. E via dicendo, gli esempi possono essere numerosi.
Tante persone si trasformano in personaggi: indossano la maschera, la veste che desiderano in uno specifico momento, prendono dagli altri gli spizzichi che va loro bene.
Questo comporta un riflesso nella vita “reale”: man mano il comportamento nel virtuale viene trasposto nel quotidiano, quasi non esistesse più un preciso distinguo, e violenza, azioni, parole, falsità facciano parte soltanto di una sorta di gioco di ruolo – ma da mettere in atto tutti i giorni, in ogni contesto, non solo virtuale. Uccidere dei gattini, filmarsi e far girare il video in rete ha la valenza di un mero atto virtuale, perché mira ai click, al numero di visioni, non c’è alcun senso morale o cognizione di cosa “realmente” si stia facendo. L’altro è reificato e virtualizzato, non è più un qualcosa di davvero esistente, in toto.
Quindi una storia che alla base direi interessante, al di là dell’esito narrativo – e di sicuro inquietante se ci si guarda attorno e considera tanta parte di cosa stiamo vivendo.
My rating 3/5
Hanna Bervoets
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Ed. Mondadori
Molto interessante la tua recensione…e molto attuale il tema del romanzo. Purtroppo oggi, nella “società liquida” baumaniana, si è persa la percezione tra ciò che è vero e ciò che è virtuale, a volte…E il male fatto a dei poveri gattini, così come altre smargiassate, viene fatto motivo di vanto e di ostentazione.